Tra il 1940 e il 1941 il
“Centro studi economici” di Giuseppe Solaro tiene, in varie località d’Italia,
una serie di convegni che vogliono prefigurare l’avvenire dell’Europa dopo la
fine del conflitto, che, a quel momento, tutto lascia presagire favorevole alle
potenze dell’Asse
E quindi, con sano realismo,
Solaro pone il problema: “Le due potenze dominanti saranno certo detentrici
della forza di fronte alle unità minori, ma tra loro il problema della forza
avrà un peso ? Non saprei come escluderlo. La forza dell’una dovrà essere e
rimanere costantemente uguale alla forza dell’altra ? Certamente sì, come ho
già sostenuto”. Posto il problema, la soluzione –con un bello sforzo di
fantasia progettuale, devo dire- viene individuata nel concetto di “spazio
vitale” (niente a che vedere con “lebensraum nazionalsocialista) per il quale
alla Germania è assegnata una funzione “eminentemente” industriale, e
all’Italia una “eminentemente” commerciale ed agricola. Questo, sulla base di
fattori geofisici e strutturali (caratteri storici, morali, economici e
sociali), pur nel quadro di una rinnovata solidarietà europea. Queste tesi non
piacciono alla Germania, così che, quando vengono rielaborate in un articolo,
il 23 aprile del 43, Ribbentrop dà disposizioni al Centro Pubblicazioni di
Innsbruck (incaricato di tradurre e divulgare materiale italiano) affinchè si
adoperi che i concetti esposti “non venissero a conoscenza del pubblico
tedesco”
(in: Fabrizio Vincenti
“Giuseppe Solaro, il fascista che sfidò la Fiat e Wall Street”, Eclettica 2014)
Di lì a pochi mesi, Solaro
sarebbe stato, a Torino, il massimo rappresentante della fedeltà alla parola
data ed all’alleato tedesco…
A DON GIUSEPPE GARNIERE
PRIMA DI MORIRE,
DOPO LA CONFESSIONE, CONSEGNA
PER LA MOGLIE,
IL SEGUENTE BIGLIETTO :
Cara
Tina, prima di morire ti esprimo tutto il mio amore e la mia devozione. Sono
stato onesto tutta la vita e onesto muoio per un’ idea. Che essa aiuti l’
Italia sulla via della redenzione e della ricostruzione. Ricordami ed amami,
come io ho sempre amato l’ Italia.
Cara
Tina, Viva l’ Italia libera! Viva il Duce!
Tuo
Peppino
"Scampoli di serenità. Gli ultimi. L'8 aprile, nella caserma della
Brigata Nera di via Cernaia, il clima sempre più pesante viene, almeno per
qualche ora, spezzato. In mattinata si sono celebrati due matrimoni di
squadristi, un battesimo e una comunione. La famiglia Solaro è direttamente
coinvolta. Giuseppe, insieme al podestà Michele Fassio, è testimone di nozze di
una delle due coppie, ma è soprattutto il padre della bambina che riceverà la
prima comunione, ovvero della più grande delle due figlie, Franca. Le
celebrazioni si sono tenute in varie chiese cittadine, poi, però, tutti in
caserma per un attimo di serenità. Per provare a festeggiare eventi di quella
vita normale che si è ormai persa nel turbinio della guerra. Anzi, della guerra
civile. Una lunga tavolata nella caserma, le foto ricordo. Sorrisi che
annegheranno in un dramma ormai alle porte". “Dal capitolo 12 di
"Giuseppe Solaro, il fascista che sfidò la Fiat e Wall Street"La Riscossa" fu il
nome scelto per il battagliero settimanale della Federazione fascista
repubblicana di Torino. Si contraddistinse per una linea editoriale
particolarmente aggressiva e di "sinistra", al punto che lo stesso
Ministero della Cultura Popolare lo classificò come rivoluzionario. Il primo
numero, non casualmente, uscì il 28 ottobre 1943, l'ultimo nell'aprile del 1945
MAGGIO 1944
Copia della circolare /appello che Solaro inviò ai fascisti repubblicani di Torino
"LA STAMPA " 24 APRILE 1945
"
LA STAMPA" 3 FEBBRAIO 1945
"LA STAMPA" 8 APRILE 1944
"LA STAMPA " 9 SETTEMBRE 1944
"LA STAMPA" 13 SETTEMBRE 1944
Paradossi e realtà" da "La
Stampa" del 29/03/1944 a firma Giuseppe Solaro
La libertà di pensiero dovrebbe
permettere all'uomo di esprimersi come più gli aggrada e proiettare le sue idee
nella società: ma quando il francese Dupont ha ben bene ingiuriato, senza
conseguenze penali, il presidente della sua repubblica egli resta sempre il
piccolo borghese in preda alle difficoltà del bilancio familiare che nessuna
libera espressione di pensiero gli solleva e migliora; quando mister Babbitt
pubblica sugli scandalistici giornali americani i più fieri appunti sulla
moralità od onestà di un ministro, non modifica la situazione (e il ministro,
con il giuoco parlamentare delle clientele, continua la sua strada). La libertà
politica è quell'altro attributo dell'uomo che deve consentirgli di trasfondere
un po' di se stesso nel governo della cosa pubblica, e sottrarlo all'errore o
al capriccio di un tiranno: nella realtà i governi liberali sono stati i più
dispotici che la Storia abbia conosciuto; a dominare, pur nella commedia dei
ludi elettorali e delle tenzoni parlamentari, sono sempre giunti uomini
rappresentanti gruppi di interessi o di consorterie razziali ed economiche
ereditarie. Si può negare che gli uomini dei paesi liberali desideravano sempre
la pace? Eppure hanno avuto sempre la guerra.
1944-Giuseppe Solaro con il segretario nazionale del P.F.R. Alessandro Pavolini
COME HA SAPUTO MORIRE
GIUSEPPE SOLARO
Tutta l'esperienza di Giuseppe
Solaro, fino all'estremo sacrificio, affrontato con una serenità e una fierezza
che hanno del sovrannaturale, è un fulgido esempio di fede, di passione
italiana.
Di modesta famiglia (il padre era
operaio delle ferrovie e aveva altri due figli), egli seppe, attraverso molti
sacrifici e con ferrea volontà, giunger fino alla laurea . Nato nel 1914, fu
entusiastico elemento del GUF di Torino, combatté volontario in Spagna e
partecipò con onore all'ultima guerra mondiale, quale ufficiale di complemento
di artiglieria. Dopo l'8 settembre fu tra i primissimi ricostruttori dei
Fascismo torinese e fu Segretario Federale fino al sopraggiungere del crollo.
Sapeva trasfondere la fede
purissima che lo animava in quegli italiani che avevano voluto raccogliersi
attorno al vessillo della rinascita e con mano ferma guidava il Fascismo
torinese nel travagliatissimo periodo che straziava la Patria. Ma non meno
vasto e profondo era il contributo di cultura e di opere che dedicava alla vita
della Repubblica Sociale Italiana. Già collaboratore dell'organo del GUF,
trattava ora, sia nell'organo Federale La Riscossa che su La Stampa i
principali problemi di quei momenti difficilissimi, e, in primo luogo, quello della
socializzazione, di cui era uno studioso competente e un convinto e fervente
assertore. Istituì, dopo la emanazione delle leggi relative, dei corsi di
preparazione operaia sull'economia socializzata e pubblicò opuscoli illustrati
accessibili al lavoratori. Un suo studio fu anche presentato al Duce e fu
particolarmente apprezzato. Viveva per la Causa e tutto se stesso aveva votato
alla Causa; in un modesto ambiente, nell’ammezzato della Federazione, erano con
lui la moglie e due tenere bambine. Il fervore, la fede degli Italiani che
credevano nella rinascita a nulla valsero e venne il giorno del crollo, al
quale Solaro non sapeva rassegnarsi.
Egli voleva, ora, soprattutto
realizzare lo scopo di tutelare le famiglie, gli averi e la vita dei fascisti e
per questo si assunse la responsabilità di intavolare trattative col CLN, con
la mediazione di Don Garneri, parroco dei Duomo, onde, evitare spargimento di
sangue. Avvennero alcuni incontri in Prefettura per concordare il trapasso
delle consegne. Egli, con grande altruismo, pose subito come condizione che si
escludesse qualsiasi riferimento alla sua sorte personale. Un ultimo convegno
avrebbe dovuto avvenire in Prefettura il giorno di venerdì 27 aprile per la
ratifica degli accordi intervenuti: senonché nessuno dei CLN si fece più vivo.
Telefonò soltanto Don Garneri dicendo che all'ultimo momento gli elementi dei
CLN non vollero saperne di trattative coi fascisti e tutto fu annullato. E qui
bisogna ricordare un episodio che fa onore tanto alla memoria di Solaro quanto
all'ora Alto Commissario per il Piemonte, Grazioli. I tedeschi avevano, a loro
volta, intavolato trattative col CLN, tendenti soltanto ad ottenere il
ripiegamento indisturbato dei loro reparti dalla frontiera alpina, e, per
ottenere lo scopo, avevano concentrato al Vallino, scalo commerciale della
stazione di Porta Nuova, alcuni vagoni carichi di esplosivi con la minaccia di
farli saltare qualora i patti non fossero stati conclusi ed osservati. Venuto
ciò a conoscenza di Solaro e Grazioli, entrambi intervennero con energia ed
ottennero che i vagoni venissero allontanati, e così fu sventata la minaccia di
distruzioni gravissime nel centro della città.
Si consegnò spontaneamente ad un
colonnello dei carabinieri di cui si riteneva amico, ma questi non poté o non
volle salvarlo.
Solaro non fu più rivisto dai
suoi tre compagni di sventura, i quali, nella stessa giornata del 28 aprile,
vennero trasferiti alla Questura centrale. L'indomani, domenica 29, nelle prime
ore del pomeriggio si aprì ad un certo momento lo sportellino della cella
dov'erano rinchiusi i tre camerati e si affacciò una bieca figura di partigiano
comunista, il quale disse con compiacimento: 'Il vostro Solaro è stato
impiccato poco fa e la stessa sorte subirete anche voi tra breve'. Il che, fortunatamente
non si verificò.
Tutta l'esperienza di Giuseppe Solaro, fino all'estremo sacrificio, affrontato con una serenità e una fierezza che hanno del sovrannaturale, è un fulgido esempio di fede, di passione italiana.Di modesta famiglia (il padre era operaio delle ferrovie e aveva altri due figli), egli seppe, attraverso molti sacrifici e con ferrea volontà, giunger fino alla laurea . Nato nel 1914, fu entusiastico elemento del GUF di Torino, combatté volontario in Spagna e partecipò con onore all'ultima guerra mondiale, quale ufficiale di complemento di artiglieria. Dopo l'8 settembre fu tra i primissimi ricostruttori dei Fascismo torinese e fu Segretario Federale fino al sopraggiungere del crollo.
Sapeva trasfondere la fede purissima che lo animava in quegli italiani
che avevano voluto raccogliersi attorno al vessillo della rinascita e con mano
ferma guidava il Fascismo torinese nel travagliatissimo periodo che straziava
la Patria. Ma non meno vasto e profondo era il contributo di cultura e di opere
che dedicava alla vita della Repubblica Sociale Italiana. Già collaboratore
dell'organo del GUF, trattava ora, sia nell'organo Federale La Riscossa che su
La Stampa i principali problemi di quei momenti difficilissimi, e, in primo
luogo, quello della socializzazione, di cui era uno studioso competente e un
convinto e fervente assertore. Istituì, dopo la emanazione delle leggi
relative, dei corsi di preparazione operaia sull'economia socializzata e pubblicò
opuscoli illustrati accessibili al lavoratori. Un suo studio fu anche
presentato al Duce e fu particolarmente apprezzato. Viveva per la Causa e tutto
se stesso aveva votato alla Causa; in un modesto ambiente, nell’ammezzato della
Federazione, erano con lui la moglie e due tenere bambine. Il fervore, la fede
degli Italiani che credevano nella rinascita a nulla valsero e venne il giorno
del crollo, al quale Solaro non sapeva rassegnarsi.
Egli voleva, ora, soprattutto realizzare lo scopo di tutelare le famiglie, gli averi e la vita dei fascisti e per questo si assunse la responsabilità di intavolare trattative col CLN, con la mediazione di Don Garneri, parroco dei Duomo, onde, evitare spargimento di sangue. Avvennero alcuni incontri in Prefettura per concordare il trapasso delle consegne. Egli, con grande altruismo, pose subito come condizione che si escludesse qualsiasi riferimento alla sua sorte personale. Un ultimo convegno avrebbe dovuto avvenire in Prefettura il giorno di venerdì 27 aprile per la ratifica degli accordi intervenuti: senonché nessuno dei CLN si fece più vivo. Telefonò soltanto Don Garneri dicendo che all'ultimo momento gli elementi dei CLN non vollero saperne di trattative coi fascisti e tutto fu annullato. E qui bisogna ricordare un episodio che fa onore tanto alla memoria di Solaro quanto all'ora Alto Commissario per il Piemonte, Grazioli. I tedeschi avevano, a loro volta, intavolato trattative col CLN, tendenti soltanto ad ottenere il ripiegamento indisturbato dei loro reparti dalla frontiera alpina, e, per ottenere lo scopo, avevano concentrato al Vallino, scalo commerciale della stazione di Porta Nuova, alcuni vagoni carichi di esplosivi con la minaccia di farli saltare qualora i patti non fossero stati conclusi ed osservati. Venuto ciò a conoscenza di Solaro e Grazioli, entrambi intervennero con energia ed ottennero che i vagoni venissero allontanati, e così fu sventata la minaccia di distruzioni gravissime nel centro della città.
Si consegnò spontaneamente ad un colonnello dei carabinieri di cui si riteneva amico, ma questi non poté o non volle salvarlo.
Solaro non fu più rivisto dai suoi tre compagni di sventura, i quali, nella stessa giornata del 28 aprile, vennero trasferiti alla Questura centrale. L'indomani, domenica 29, nelle prime ore del pomeriggio si aprì ad un certo momento lo sportellino della cella dov'erano rinchiusi i tre camerati e si affacciò una bieca figura di partigiano comunista, il quale disse con compiacimento: 'I1 vostro Solaro è stato impiccato poco fa e la stessa sorte subirete anche voi tra breve'. Il che, fortunatamente non si verificò.
Risultò poi che Solaro, al quale era stato concesso di parlare con Don Garneri, dal quale sperava per lo meno un benevolo intervento, venne portato dinnanzi ad una specie di tribunale partigiano del quale facevano parte, tra altri, Osvaldo Negarville, fratello di Celeste (che fu, oltre che parlamentare, anche Sindaco di Torino), Barbato (Pompeo Colaianni) e un comandante Maian, non meglio identificato. A Solaro venne attribuita, fra le tante altre, anche la responsabilità dell'impiccagione di quattro partigiani in Corso Vinzaglio, come rappresaglia per l'uccisione di Camicie Nere della Divisione Leonessa. Responsabilità da cui Solaro era completamente immune, poiché la rappresaglia era stata unicamente opera dei tedeschi. Conseguenza fu che Solaro venne condannato a subire, a sua volta, l'impiccagione nello stesso sito di Corso Vinzaglio.La radio, alle ore 13, aveva dato notizia della condanna, aggiungendo che alle 14 avrebbe avuto luogo l'esecuzione insieme a quella di altri tre fascisti; ma all'ultimo momento il supplizio venne riservato al solo Solaro. Egli venne caricato su di un camion alla Caserma Bergia, e con lui fu fatto salire anche Don Garneri per l'assistenza spirituale; il tragitto fino al luogo dell’esecuzione avvenne fra sputi e contumelie. Naufragata ogni speranza di un pacifico trapasso di poteri, fu stabilito il ripiegamento delle forze fasciste, che vennero concentrate nella Caserma Bergia della GNR, in Piazza Carlina; la colonna partì nella notte verso la Lombardia. Ma i mezzi di trasporto erano scarsi, e vi erano dei familiari, donne e bambini, e dei feriti da porre in salvo, per cui non vi era posto per tutti. Coloro che partirono si salvarono, poiché furono concentrati poi a Coltano e, dopo i soliti processi e le non meno solite condanne, poterono, col tempo, fruire delle amnistie; e così sarebbe stato anche per Solaro. Ma egli preferì cedere il suo posto nella colonna ad altri e restò, con alcuni dei più fedeli, in città, passando la notte negli uffici dei Consorzio dei latte, di cui era Commissario uno dei Vice Federali, Astengo. Questi, il mattino successivo, fidando sulla bontà di elementi dello stesso Consorzio (il cui stabilimento era in corso Stupinigi ora Corso Unione Sovietica, e gli uffici in Via Ospedale, ora Via Giolitti, angolo Via Carlo Alberto, dov'erano Solaro e compagni), propose di consegnarsi ai membri dei CLN dello stesso Consorzio. Questi vennero, ma presero con sé il solo Astengo, dicendo che sarebbe tornato il camioncino a prendere gli altri. Dopo parecchio tempo venne un camion, ma era condotto da partigiani installatisi nella Caserma Bergia, dove Solaro e altri tre camerati vennero riportati. Rimasero colà tutta la notte del 28, assistendo a scene selvagge di percosse e maltrattamenti inflitti a fascisti ed ausiliarie, mentre vennero risparmiati i quattro, che risultavano ancora sconosciuti ai loro carcerieri. Erano già in servizio carabinieri ancora in borghese, i quali fecero quanto potevano per frenare gli istinti belluini dei partigiani col fazzoletto rosso, assetati di sangue. Solaro si presentò poi alla Caserma Cernaia, che era stata sede della Brigata Nera 'Ather Capelli', della quale Solaro, come Federale, era stato comandante, e che è situata, si può dire, a pochi metri da Corso Vinzaglio; qui vennero scattate fotografie, fra cui quella che pubblichiamo. In tutto questo frattempo il contegno di Solaro fu improntato a grande e serena fierezza, nessun segno di debolezza, ma la cosciente, intima forza derivante dalla certezza di immolarsi per una Causa in cui aveva fermamente creduto e che un giorno avrebbe finito col trionfare. In un primo tempo la macabra scena dell'impiccagione fallì, poiché il ramo cui era stato appeso il martire si ruppe ed egli rimase in vita. In altri tempi pare che gli scampati ad un'esecuzione capitale venissero graziati; ma questo non fu il caso di Solaro, i cui carnefici si affrettarono a ripetere l'operazione con un ramo più robusto, e questa volta, per loro, la cosa andò bene. La scena obbrobriosa che ricorda, per la sua bestiale efferatezza, Piazzale Loreto, avvenne in seguito. Le spoglie, sempre col cappio al collo, vennero legate ad uno dei traversini che sorreggono la copertura dei camion, e in bocca al 'giustiziato' fu introdotto un mozzicone di sigaretta. Il macabro veicolo percorse le vie principali, con fermate al crocicchi per fare ammirare alla folla il triste spettacolo. Si disse poi, ma non abbiamo elementi sicuri al riguardo, per quanto la cosa in quel momento e in quel clima rovente appaia tuttaltro che inverosimile, che, giunto il camion sulle rive del Po, il cadavere sia stato gettato fra le onde e fatto bersaglio ai tiri di coloro che erano sulla sponda del fiume. E infine venne ripescato e gettato sul parapetto, donde, in una rudimentale cassa, fu fatto proseguire per l’obitorio. Come un popolo, ricco di millenaria civiltà, abbia potuto esprimere dal suo seno certa gente, che di umano aveva solo le sembianze, ci appare ancora adesso, a distanza di tanti anni, inspiegabile.
da “LA LEGIONE”
È sepolto nel Cimitero
monumentale di Torino, presso il sacrario dei militi della R.S.I. (terza
ampliazione sud est, scomparto 539). Sulla sua lapide è riportato lo stemma
della Repubblica Sociale Italiana.
I FRANCHI TIRATORI DI
TORINO
"Quel Fascista a
Torino
che sparò per due ore
e poi scese per
strada
con la camicia
candida
con i modi distinti
e disse andiamo pure
asciugando il sudore
con un foulard di
seta"
(F.Frattini - Poesia
del 1947)
"Alzò le mani gettando
l'arma,
senza una parola si
diresse
verso un monumento,
si aggiustò la divisa
e il berretto e
aspettò la morte.
Era da ammirare,
moriva per il suo
Ideale."
(Dal volume di G.
Accame - "La morte dei Fascisti")
Giuseppe Solaro restò a Torino,
per coordinare i suoi 2000 franchi tiratori, appostati sui tetti e le soffitte
di Torino, e votati alla morte .Essi spararono contro i partigiani sino al 7
maggio, ed infatti 321 partigiani la pagarono con la pelle. Giuseppe Solaro,
catturato, fu impiccato ad un albero in Corso Vinzaglio il 2 maggio .Poi, fu
portato, appeso ai tralicci di un camion, in giro per le strade di Torino. In
Borgo S. Paolo,. il più "rosso" di Torino, furono molte le donne
fasciste che resistettero ai partigiani. I quali, resi furibondi da questa
inaspettato opposizione, fucilarono intere famiglie di fascisti o presunti
tali. Dettero la caccia al Colonnello Cabras, il quale si era allontanato verso
Ivrea con i suoi 25.000 uomini, e si era poi arreso agli americani. Quattro
torinesi pagarono con la vita la loro rassomiglianza col Colonnello Cabras: un
professore, che fu impiccato; poi un operaio della SPA; poi un ferroviere,
uscito dallo scalo merci del Vallino, in divisa da frenatore e con la borsa degli
attrezzi.....fu impiccato ad un balcone, poi un quarto uomo, condannato come
"Cabras" dal CMRP (CLN).....Ma Cabras si era salvato, con i suoi
uomini.
Alfredo Casalgrandi
“FASCISTA SI’ FASCISTA”, quinto racconto del
libro
“.....Il 24 dicembre, era appena arrivato in Federazione, che Solaro lo
mandò a chiamare. Era la vigilia di Natale, e Bruno pensò gli volesse parlare
della manifestazione organizzata per il giorno dopo, con la prevista
distribuzione di pacchi di alimentari e vestiario alle famiglie degli sfollati.
Perciò, si meravigliò non poco quando vide il Federale scuro in volto.
Tra loro avevano concordato di darsi del “tu”: la maggiore età e l’esperienza
del professore erano “compensate” dall’incarico del secondo, e si era
instaurata, da subito, una grande corrente di simpatia. “Siediti Bruno –gli disse a voce bassa il giovane, che appariva molto
turbato- Ieri sera, mentre si apprestava a chiudere il suo negozio di
orologiaio, è stato ucciso un nostro camerata, Aldo Morei. Uno sconosciuto è
entrato, e gli ha sparato tre colpi di pistola, mentre gli volgeva le spalle,
probabilmente per cercare qualcosa nelle vetrine. Ciò nonostante, il ferito ha avuto la forza di girarsi su un fianco, e
quello gli ha sparato un quarto colpo, alla tempia, senza che la moglie, che
era nel retrobottega, subito accorsa, potesse fare altro che sentirlo mormorare
“Bastardo”.....”
LA STRANA VICENDA DEL COMANDANTE GIOVANNI CABRAS
La vicenda del comandante Giovanni Cabras è tra le più strane della
nostra storia recente. Ancora oggi, nei testi della resistenza, come l'ultimo
"Una guerra civile" di Claudio Pavone, si legge che il colonnello
Cabras fu impiccato agli alberi insieme al federale di Torino, Solaro. In
realtà a morire al suo posto nell'aprile del 1945, quando l'odio cieco della
guerra civile versava fiumi di sangue, furono altri quattro, forse cinque
uomini, scambiati per lui per una particolare somiglianza. Tra gli altri un
vigile urbano ed un tranviere ma si parlò anche di un professore, di un operaio
e di un altro uomo impiccato al posto suo dopo regolare processo e sentenza del
comitato militare del C.L.N. I giornali dell’epoca e numerosi testi riportano la notizia della morte
di Giovanni Cabras in quei giorni di aprile: egli, in realtà, lasciò la città
di Torino nella notte tra il 27 e il 28 aprile alla testa di una colonna di
circa 20.000 uomini con l'intenzione di raggiungere la "Ridotta della
Valtellina". In realtà si fermò a Strambino Romano, presso Ivrea, a circa
43 chilometri da Torino. In quel momento, con Cabras erano rimasti circa 10.000
uomini: tanta GNR, militari di tutti i corpi, poca Brigata nera e niente più
tedeschi che a Caluso se ne erano andati per proprio conto. Nel pomeriggio del 5 maggio, la colonna si arrese agli americani della
Divisione Buffalo. In base al disposto del trattato di resa, che prevedeva la
consegna delle armi entro il pomeriggio del giorno successivo e quindi
l'internamento nei campi di concentramento allestiti dagli Americani in
territorio italiano, il Colonnello Cabras, unitamente a numerosi altri
ufficiali presenti nella colonna, venne trasferito nel campo di Coltano ( Pisa
), dove rimase fino al luglio 1945. Cabras sarà poi processato a Torino un mese
più tardi ma la scamperà e morirà di vecchiaia in Sardegna.
Giovanni Cabras era nato in provincia di Nuoro, a Bortigali, il 9 marzo
1901. Dopo aver conseguito la licenza liceale, adempie agli obblighi di leva
col grado di Sottotenente di Fanteria. È a Modena per il servizio di prima
nomina nel periodo in cui più aspra, specie in quella zona, è la lotta fra
estreme fazioni politiche, lotta che culminerà il 28 ottobre 1922 con la Marcia
su Roma e l'avvento al potere di Benito Mussolini. Congedatosi dal Regio
Esercito nel 1923, nello stesso anno si iscrive al Partito Nazionale Fascista.
Per alcuni anni si dedica al commercio di latticini. Nel 1927 si sposa con
Jolanda Spinas a San Basilio in provincia di Cagliari. All'inizio degli anni Trenta
decide di presentare domanda per essere assunto in Spe nei ranghi della MVSN.
Il 1° febbraio 1932 la sua richiesta è accolta ed egli viene assegnato
all'Ispettorato del Comando zona della Sardegna, incarico che mantiene fino al
marzo 1935. Nel settembre dello stesso anno, col grado di Centurione
(Capitano), parte volontario per la campagna d'Etiopia al comando di una
compagnia della Divisione Camicie Nere "XXI Aprile". Rientrato in
Italia, nel marzo del 1937, parte volontario per la Spagna. In terra di Spagna
inizialmente presta servizio al C.T.V. (Comando truppe volontarie) di Salamanca
e successivamente, col grado di Seniore (Maggiore) gli viene affidato il
comando di unità operative, con le quali partecipa a numerose tra le più
importanti battaglie di quel conflitto, guadagnandosi due croci di guerra al
valor militare, unitamente alla cruz roja e alla cruz de guerra, decorazioni al
valor militare concessegli dal Governo spagnolo. Rientrato in Patria
nell'autunno del 1939, a guerra ultimata, è destinato dapprima al Comando Zona
di Napoli con il grado di aiutante maggiore della 138° Legione. Sul finire
dello stesso anno riesce a tornare in Sardegna, in qualità di capo dell'Ufficio
ordinamento presso il Comando zona di Cagliari. Il 1° giugno 1941 viene promosso
1° Seniore ( tenente Colonnello ) e comanda il 176° Battaglione CCNN. Pur
essendo la Sardegna considerata a tutti gli effetti zona d'operazioni, non
riesce ad accettare la forzata inattività e chiede insistentemente il
trasferimento su un fronte di combattimento. Trasferimento che ottiene il 2
marzo 1943, quando "viene richiamato alle armi" con destinazione il
Comando della VI Zona CC.NN. a Trieste per poi raggiungere la nostra zona di
occupazione nella Penisola Balcanica. Dapprima al comando di un battaglione e
poi di un reggimento operanti in quello scacchiere pieno di insidie. Il 16
giugno 1943 viene decorato con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare con la
seguente motivazione: "Cabras Giovanni fu Giovanni maria e di Piras
Tomasa, da Bortigali (Nuoro), classe 1901, 1° seniore, battaglione speciale
camicie nere. Comandante di battaglione, nel corso di molteplici azioni di
controguerriglia, dava costanti prove di ardimento, conseguendo sempre preziosi
risultati. In fase critica di attacco a munita posizione avversaria, con
tempestiva e irruente azione guidava i reparti all'assalto, travolgendo la
tenace difesa nemica. - Nova Vas (Slovenia), 16 giugno 1943". Visti i
tempi non riceverà mai fisicamente questa medaglia prima dell'armistizio; gli
verrà ufficialmente consegnata solo durante il periodo della Repubblica Sociale
Italiana. Il 14 agosto 1943, come comandante del battaglione speciale nr.3,
riceve un encomio solenne da parte del Generale Gambara, comandante del II
Corpo d'Armata con la seguente motivazione: "Recatosi in Sardegna per
morte di un figlio, anzichè avvalersi delle disposizioni che gli davano la
possibilità di fermarsi nell'isola, vicino alla propria famiglia, preferiva
rientrare al proprio reparto in zona di operazioni per riassumerne il comando,
e ciò con tre giorni di anticipo sulla scadenza della licenza. Dava prova di
esempio non comune di attaccamento al dovere".
L'8 settembre 1943, come tanti altri Comandanti di reparti operanti sui
vari scacchieri, ha notizia solo casualmente, attraverso la radio da campo,
della resa incondizionata del Governo Badoglio. L'assoluta inaffidabilità degli
ordini, contradditori e inspiegabili, fortunosamente captati via radio, lo
costringe ad assumere la drastica decisione di trasferire tutto il reparto (per
sua fortuna autonomamente autocarrato!) dalla Croazia verso il confine
italiano. Disarmato dai tedeschi, resta consegnato per diverse settimane nella
caserma "Vittorio Emanuele" di Lubiana con altri 2000 uomini.
Soltanto il 9 novembre, dopo aver aderito alla R.S.I., lascia la prigionia e
arriva a Torino dove entra in contatto con il console Domenico Mittica,
conosciuto durante la guerra di Spagna e in quel momento uno degli uomini più
importanti del fascismo repubblicano torinese. Dietro suo interessamento Cabras
viene assegnato al comando di un costituendo battaglione di reclute della GNR
con sede a Rivoli. Nel giugno del 1944 assume la carica di vicecomandante
dell'Ufficio Politico Investigativo ( UPI ) della GNR di Torino, una delle
realtà più attive nella repressione antipartigiana. Il 15 luglio è promosso
simultaneamente colonnello e comandante provinciale del'UPI e della GNR. Solo
tre mesi dopo, il 9 ottobre, viene scelto per dirigere il nuovo Comando
militare provinciale di Torino, nato dalla fusione tra il Comando provinciale
della GNR e il Comando provinciale dell'esercito. In questa veste si rende
responsabile di numerosi atti di repressione nei confronti di appartenenti alla
Resistenza. Il 25 aprile 1945 coordina le operazioni volte alla difesa e poi
all'evacuazione della città di Torino e il 28 aprile abbandona il capoluogo
alla testa della "Colonna Cabras" mentre il CLN lo condanna a morte
mediante impiccagione. Si arrende agli Angloamericani, a Strambino Romano,
presso Ivrea, il 5 Maggio successivo, Trasferito nel campo di prigionia alleato
di Coltano ( Pisa ) vi rimane fino al luglio 1945. Tradotto a Torino il 16
agosto 1945 viene processato per il reato di collaborazionismo e condannato a
20 anni di carcere. Nel gennaio del 1947 è però amnistiato dalla Cassazione e
posto in libertà. Nel marzo dello stesso anno si trasferisce a Monserrato,
all'epoca un sobborgo di Cagliari, dove si stabilisce definitivamente e qui
muore nel 1981.
“Chi impera a Torino è il gruppo FIAT. Detto
gruppo è riuscito ad entrare in ottimi rapporti con i vari Comandi tedeschi, in
particolare il vecchio Console Von Langen si può considerare un uomo del gruppo
FIAT….tutti i dirigenti FAT sono le stesse persone che boicottarono l’andamento
della produzione prima della caduta del fascismo e si sollevarono contro il
fascismo durante il periodo badogliano”(Giuseppe Solaro, segretario del PFR
torinese….chiederà anche a Mussolini di poter arrestare Valletta) “Il problema di Torino è il
problema FIAT e grande industria in genere. Per ragioni più che logiche, il
Comando economico germanico, dopo l’8 settembre , ha portato la più viva
attenzione all’industria italiana, cui ha accordato un’ampia protezione….i
dirigenti si sono messi apparentemente nelle mani germaniche, per lavorare
sotto sotto all’opera di sabotaggio e ostruzionismo”(Paolo Zerbino, prefetto di
Torino durante la RSI)
(da: Giorgio Bocca, “La Repubblica di
Mussolini”, Bari 1977)
INTERROGATORIO DI GIOVANNI CABRAS